Istituita nel 1986 per volere dell'allora Arcivescovo Mario Peressin, che in San Mario ha invocato il celeste patrocinio. La parrocchia, per comodità è intitolata al solo San Mario, ma il patrocinio è affidato all'intera famiglia di martiri: Mario e Marta (marito e moglie), Abaco e Audiface (figli), in quanto martirizzati insieme e pertanto celebrati insieme.

Comincia a vivere come attività parrocchiale solo dall'88, senza però un luogo di culto fisso: per un breve periodo in un garage all'interno di un palazzo, poi peregrinanti per alcune chiese della zona, Turris Eburnea (cappella dell'ex ospedale di Collemaggio), Santa Maria di Farfa e a S. Elia. Nel novembre del 2004 si inaugura finalmente un dignitoso locale adibito al culto (l'attuale) e contemporaneamente si avvia il cantiere della chiesa effettiva di San Mario.

 

 
Chi sono i nostri santi patroni? Qualche informazione...

Mario è uno dei nomi più diffusi in Italia (è al quarto posto), presente anche in diverse varianti come Mariolino, Marietto, Mariuccio, Mariano, per quest’ultimo nome, divenuto indipendente, bisogna dire che lo portarono diversi santi e beati ed è particolarmente legato al culto della Vergine, detto appunto ‘mariano’.
Ma il nome Mario non è come si crede comunemente, il maschile di Maria, ma riprende l’antico gentilizio (cognome) romano ‘Marius’ a sua volta derivato dall’etrusco ‘maru’ (maschio).

La sua diffusione è iniziata a partire dal Rinascimento, per la ripresa del nome del politico e militare romano, il generale e console Mario, avversario dell’aristocratico Silla, considerato un difensore del popolo e della democrazia, morto nell’86 a.C.
In ambito cristiano si venera s. Mario il 19 gennaio, anche se in altri antichi Martirologi, la sua celebrazione era al 20 gennaio, insieme alla moglie Marta ed ai figli Audiface ed Abaco, tutti martiri a Roma. Secondo una leggendaria ‘passio’ del VI secolo, i quattro martiri componenti della stessa famiglia, persiani di origine, lasciarono la loro patria, per recarsi a Roma a venerare le reliquie dei martiri, come facevano in quei tempi molti cristiani.
Alcuni antichi ‘Martirologi’ collocano questa venuta a Roma e le successive fasi, negli anni 268-270, al tempo del regno di Claudio II, quando notoriamente si sa che non vi furono persecuzioni contro i cristiani; la recente edizione del ‘Martyrologium Romanum’ indica l’inizio del secolo IV come data del loro martirio, da queste date possiamo desumere, che la famiglia persiana cristiana, sia stata ospite o stabilizzata a Roma, per un certo numero di anni; del resto il secolo III fu un periodo di grande espansione del cristianesimo e di tolleranza nei loro confronti, almeno fino alla vecchiaia di Diocleziano, quando nel 293, spinto dal console Galerio, emanò tre editti di persecuzione.
A Roma essi si associarono al prete Giovanni, nel dare una degna sepoltura a 260 martiri sulla Via Salaria, evidentemente vittime della suddetta persecuzione di Diocleziano, che giacevano decapitati e senza sepoltura, in aperta campagna.
Purtroppo questa pietosa opera non poteva passare inosservata, dato anche il gran numero di corpi, per cui Mario ed i suoi familiari furono scoperti, arrestati e condotti in tribunale. Prima il prefetto Flaviano e poi il governatore Marciano, seguendo le norme degli editti imperiali li interrogarono, invitandoli a sacrificare agli dei; avendo essi rifiutato, furono condannati alla decapitazione, per i tre uomini, il martirio avvenne lungo la Via Cornelia, mentre per Marta avvenne presso uno stagno poco distante, ‘in Nimpha’.
I loro corpi raccolti dalla pia matrona romana Felicita, furono sepolti in un suo possedimento agricolo chiamato ‘Buxus’, oggi Boccea, sulla stessa Via Cornelia. Fin qui il racconto della ‘passio’ del VI secolo, poi successivi studi danno diverse formulazioni alla vicenda, ritenendo leggendaria l’origine persiana e il fatto di essere di un’unica famiglia (volendo tenere conto che nelle ‘passio’ leggendarie dei primi secoli, c’era la tendenza a trasformare gruppi di martiri abitanti magari nella stessa località, come appartenenti ad un nucleo familiare).
Secondo questi studiosi è probabile che il gruppo, siano dei cristiani non legati da vincoli familiari, abitanti a Lorium, in una villa imperiale distante dodici miglia da Roma. Sul luogo del martirio, nella tenuta di Boccea, sorse poi una chiesa, di cui sono ancora visibili i ruderi e che durante tutto il Medioevo fu meta di pellegrinaggi.

Per quanto riguarda le loro reliquie, esse ebbero vicende molto complicate, alcune furono traslate a Roma nelle chiese di S. Adriano e di Santa Prassede, e parte di esse nell’828, furono inviate ad Eginardo, il biografo di Carlo Magno, che le donò, come era uso allora, al monastero di Seligenstadt.

 

 

 

 

 

 

 

 

UNA FAMIGLIA DI SANTI
Mario, Marta, Audìface ed Abaco

di Don Roberto Leoni
Cancelliere Vescovile della Diocesi  di Porto-Santa Rufina

La nostra terra ha l’onore di custodire il ricordo ricchis­simo e vivo degli anti­chi Martiri: testimoni autentici del Vangelo che hanno versato il sangue per Cristo e hanno mantenuto fede alle promesse del Battesimo fino al sacrificio della loro stessa vita.
Il 19 gennaio viene ricordata un’intera famiglia di Martiri: gli sposi Mario e Marta e i loro figli Audìface ed Abaco. Furono tutti uccisi sotto l’Imperatore Claudio nel 270 al XIII miglio della via Cornelia (che corrisponde all’odierna via Boccea).
Leggiamo nel Martirologio Romano al giorno 19 gennaio: Via Cornelia miliario tertio decimo ab urbe Roma in coemeterio ad Nimphas, sanctorum Marii, Marthae, Audìfacis et Abaci, martyrum.
Dalla Pas­sio Sancti Marii, racconto scritto nel VI secolo per consegnare ai posteri la memoria delle loro gesta, sappiamo che Mario, Marta, Audìface e Abaco erano persone facoltose e di nobili natali. Verso l’anno 269 lasciarono la loro patria, la lontana Persia (l’attuale Iran) e giunsero in pellegrinaggio a Roma per pre­gare sulla tomba dell’Apostolo Pietro e venerare le reliquie dei Martiri.
Erano i tempi in cui infuriava  la breve ma crudele persecuzione dell’Imperatore Claudio il Gotico. Costui, pur non avendo mai emanato veri e propri editti contro i cristiani, tuttavia con una politica ambigua permetteva al Senato di riversare liberamente tutto il proprio odio contro i credenti. Christianos esse non licet si confermava la parola d’ordine che sarebb durata fino al 313, anno in cui Costantino il Grande avrebbe dichiarato lecita la fede cristiana.
A Roma Mario e i suoi famigliari entrarono a far parte della comunità cristiana e rimasero conquistati dal fervore dei credenti che erano disposti a pagare anche a prezzo della vita la fedeltà a Cristo e al suo Vangelo.
Conobbero così un uomo venerabile, di nome Quirino, che si trovava in carcere ed era torturato per la fede. Per otto giorni rimasero con lui mettendosi a suo servizio e lavando i piedi degli altri cristiani carcerati. (1 Timoteo5,10).
Vennero poi a sapere della strage avvenuta lungo la Via Salaria, ordinata dall’Imperatore che aveva condannato a morte 260 cristiani e ordinato di dare i loro corpi alle fiamme.
Insieme ad un pre­sbitero di nome Giovanni, pre­starono la loro opera per dare ai martiri degna sepoltura e per molti giorni si fermarono lì a celebrarne le lodi.
Rientrati in Città cercarono nuovamente Quirino ma rufono informati che era stato ucciso e gettato nel Tevere. Trovarono infatti il suo corpo sulle sponde dell’Isola Tiberina e lo seppellirono nella cripta del Cimitero di San Ponziano.
Nei vicoli di Trastervere si era nascosta una piccola comunità cristiana guidata dal proprio Vescovo: erano fuggiti dalla vicina città di Porto.
Mario, Marta e i loro figli furono accolti con grande gioia e per due mesi condivisero con loro il cammino della fede. Sull’esempio di quanto avevano fatto i primi cristiani con gli Apostoli (Atti 4,34) deposero nelle mani del Vescovo tutte le loro sostanze.
La fede cristiana continuava a fare proseliti: l’intera famiglia degli Asterii si era convertita e per rappresaglia il Pre­fetto aveva scatenato la guardia imperiale per ricercare i cristiani in ogni angolo della Città.
Sorpresi ed arrestati, Mario e i suoi furono condotti alla pre­snza dell’Imperatore Claudio il quale cominciò a chiedere loro chi fos­sero e da quale luogo fos­sero giunti. Audìface,  il figlio maggiore, coraggiosamente rispose che essi erano persiani e che erano venuti a Roma per pre­gare gli Apostoli Pietro e Paolo. Mario poi proclamò i propri natali: egli era figlio dell’Imperatore Maromeno e Marta figlia del sub­regulo (nobile) Cusinite.
Alla domanda di Claudio perchè mai aves­sero abbandonato la religione dei loro antenati per profes­sare quella che egli considerava un’empietà, Mario a nome di tutti rispose risolutamente che essi erano servi di Cristo e che tali volevano restare.
Visto che non riusciva in alcun modo a persuaderli ad abbandonare la fede cristiana, l’Imperatore
Claudio li consegnò al Vicario Muziano dandogli facoltà di torturarli.
Muziano cercò dapprima di costringerli a sacrificare agli dèi, ma visto che si rifiutavano fermamente comandò che i tre uomini fos­sero denudati e flagellati con uncini sotto gli occhi di Marta.
Mario e suoi due figli cominciarono a cantare lodi al Signore, ringraziandolo perchè li stimava degni di soffrire per amore suo. A questo spettacolo Mnziano incrudelì le torture: dopo averli fatti sospendere con delle corde e fatto portare del fuoco, li fece battere con ferri arroventati.
Visto che anche in mezzo ad atroci sofferenze Mario, Audìface ed Abaco continuavano ad essere lieti, Muziano ordinò che fos­sero loro tagliate le mani.
Marta, che non aveva mai smesso di incoraggiarli a restare fedeli al Signore, si chinò a terra per raccogliere con un panno il sangue del marito e dei suoi due figli.
In quello stato pietoso vennero condotti in giro per la città, mentre i soldati gridavano ai pas­santi che quella era la sorte riservata a tutti coloro che bestemmiavano gli déi.
I tre condannati da parte loro ribattevano che quelli che essi chiamavano déi erano in realtà demoni che li avrebbero condotti a rovina.
Lo stesso giorno fu decretata la loro condanna a morte. Furono quindi condotti lontano dalla Città, e seguendo la tortuosa Via Cornelia giunsero fino ad un podere, chiamato Buxus a motivo della fittis­sima vegetazione.
Lì, in un luogo nascosto, scosceso e ricco di acqua (Ad Nimphas Catabassi) il giorno 20 del mese di gennaio dell’anno 270 Mario, Audìface ed Abaco furono uccisi con la scure. Marta invece, legata ad una grossa pietra, fu annegata nella vicina sorgente.
Era stato anche dato l’ordine di dare alle fiamme i loro corpi perchè gli altri cristiani non li potes­sero ritrovare per poi venerarli.
Ma appena buio, giunse sul luogo del martirio una pia e nobile matrona di nome Felicita, che aiutata dalle sue ancelle salvò dal fuoco Mario, Audìface ed Abaco e trasse fuori Marta dal pozzo.
Dopo aver lavato e profumato i loro corpi, li avvolse in un candido lino insieme a foglie di alloro e di edera, simbolo di immortalità, e li seppellì in quello stesso luogo.

Ces­sate le persecuzioni e dichiarata la libertà di culto, i cristiani poterono onorare la memoria dei Martiri e venerare quel luogo santo con la costruzione di un altare posto sotto un’edicola.
Ben pre­sto i fedeli chiesero di essere sepolti vicino ai Martiri e in questo modo si svilupparono le Catacombe.
Esse, dopo aver attraversato tanti secoli, aver subito i saccheggi dei ladri e la furia dei barbari, oggi sono ridotte a poche gallerie completamente spoglie, ma un tempo dovevano essere certamente molto grandi e piene di sepolture.
Visto che la fama dei Martiri continuava a richiamare fedeli in pellegrinaggio il Vescovo di Selva Candida decise di costruire sulle catacombe una prima chiesa dedicata ai santi Mario, Marta e figli.
Questa piccola chiesa per molti secoli e durante uttto il Medioevo fu meta di pellegrinaggi.
Dopo ogni saccheggio fu sempre riportata al primitivo splendore,  grazie alla generosità dei fedeli e all’intervento dei Vescovi.
Purtroppo, stante l’impossibilità di difendere in modo adeguato i luoghi santi, nell’anno 817 il Papa Pasquale I trasportò tutti i corpi dei Martiri a Roma.
Fu questo il motivo del declino della Chiesa di San Mario e delle vicine Catacombe, pres­sichè abbandonate a se stesse. La Chiesa viene ricordata in una Bolla di Leone IV dell’anno 854, che la assegna al Capitolo della Basilica Vaticana. Conferme succes­sive furono date da due Bolle di Leone IX (1053) e Adriano IV (1158).
Vicino alla Chiesa sorgeva anche un Castrum, una rocca fortificata che fu assediata e distrutta da Giacomo Savelli nell’anno 1341.
Nel XVI secolo il Capitolo Vaticano giunse alla decisione di restaurare la Chiesa e di bonificare tutto il territorio della vasta tenuta che aveva preso il nome di Boccea (dall’antico Buxus).
Si piantarono migliaia di alberi di ulivo e la campagna tornò finalmente a ripopolarsi.
In un Memoriale per il Pontefice i Canonici del Capitolo Vaticano illustravano a Papa Pio VI la neces­sità di costruire una Chiesa più ampia per venire incontro ai bisogni dei fedeli che sempre più numerosi accorrevano alle funzioni religiose nei giorni festivi ma che erano impos­sibilitati a partecipare perchè non trovavano posto in Chiesa.
Così fu costruita una nuova Chiesa, che costò 1700 scudi, e fu solennemente dedicata il giorno 8 settembre 1779 dal Cardinale Vescovo di Porto – Santa Rufina Carlo Rezzonico.
In questa Chiesa che fu sede della Parrocchia celebrò, giovane sacerdote, anche Angelo Roncalli il futuro Beato Giovanni XXIII, il quale aveva un fratello più grande di lui di nome Mario.
Purtroppo, per il trascorrere del tempo e la costruzione di un’altra Chiesa, più vicina all’abitato, la Chiesa di San Mario è stata abbandonata.
L’attuale Chiesa Parrocchiale (sempre lungo la Via Boccea al numero 1417) fu costruita negli anni ’50.
Fu dedicata, alla pre­senza di De Gasperi, dal Sostituto alla Segreteria di Stato Mons. Giovanbattista Montini, il futuro Papa Paolo VI.
E’ in questa Chiesa che viene custodita una reliquia di San Mario e una tela raffigurante l’intera famiglia dei Martiri, opera di Giulio Di Carli dipinta nel 1993.

Attualmente l’importante complesso formato dalle Catacombe e dalla vicina Chiesa di San Mario appartiene a privati, ma la memoria dei Martiri non è stata dimenticata.
Infatti negli anni Novanta nella galleria principale delle Catacombe, che per molto tempo ha funzionato come deposito degli arnesi dei contadini, è stato costruito un altare per consentire una degna celebrazione dell’Eucaristia.
L’allora Vescovo di Porto Santa Rufina, Mons. Diego Bona celebrò per la prima volta l’Eucaristia il 19 gennaio 1993 nel luogo del martirio e della sepoltura di San Mario e dei suoi famigliari, alla pre­senza del clero e del popolo accorso numeroso per un evento così straordinario che rendeva finalmente tangibile il legame della Chiesa diocesana portuense con la comunità crtistiana delle origini.
Da quel giorno la tradizione è costante e ogni anno si torna in pellegrinaggio su quel suolo bagnato dal sangue dei Martiri.
Sono in partirolare i genitori e i figli, che venerando q uesti Martiri che in vita e in morte non poterono essere separati, affidano alla loro interces­sione la propria vita, le neces­sità ed i bisogni di tutte le famiglie cristiane.
Don Roberto Leoni